giovedì 11 settembre 2014

Uno - Cedric Darlton

Ad Alessia non era mai piaciuto fare la spia. 

       Nemmeno ai tempi della scuola era mai riuscita a tradire i segreti di qualche compagno.     Aveva imparato la lezione quella volta che aveva visto Tania saltare addosso ad una ragazza del liceo durante la ricreazione. Dio santo, l'aveva sbattuta per terra e le aveva messo le mani al collo perché aveva  spifferato al preside il fatto che si facesse gli spinelli in bagno durante la ricreazione.

       Quella volta era finita male non solo per Tania e per la spifferatrice, ma anche per tutta la scuola. Il papà della spia aveva  denunciato tutto alla polizia e, da quel giorno fino alla fine dell'anno, l'ingresso della scuola era presidiato dagli agenti. Questi signori avevano però dei simpatici cagnolini al guinzaglio pronti ad azzannarti le tasche dei pantaloni o, peggio ancora, le parti basse, se provavi a nascondere il fumo nelle mutande o tra le chiappe.
       Alessia doveva aver imparato che fare la spia non era la soluzione e che mai nessuno aveva ricevuto un premio in cambio.            Ma evidentemente non le era bastata la lezione. 
         Oggi stava camminando nervosamente sul marciapiede che la portava da casa sua allo studio di Cedric con un  microfono attaccato al petto con lo scotch dei pacchi e un registratore dietro la schiena. Il marchingegno era un po' artigianale, ma sarebbe servito allo scopo secondo lei. 
       Aveva la fronte e le mani bagnate, e sebbene facesse molto caldo per essere una giornata di primavera, non era normale che sudasse in quel modo. Era troppo nervosa se ne rendeva conto, e l'idea che Cedric si potesse minimamente accorgere della cosa la terrorizzava e le metteva ancora più ansia.    Il piano però era perfetto. Nulla poteva andare storto. 
       Alessia avrebbe suonato al citofono, come al solito. Tre squilli, uno di seguito all'altro. Il primo corto, poi uno lungo e poi di nuovo uno corto, e Cedric le avrebbe aperto il portone. Alessia avrebbe salito le scale attenta a non fare rumore e a non farsi vedere da nessuno. Una volta arrivata non avrebbe avuto bisogno di bussare alla porta, perché Cedric avrebbe lasciato il portone socchiuso, come al solito, e l'avrebbe aspettata seduto dietro la scrivania, nascosto dalle sue vecchie montagne di carte. A quel punto, le sarebbe bastato sedersi sulla sedia verde davanti alla scrivania ed aspettare che Cedric pronunciasse le prime parole, e tutto il resto sarebbe venuto da sé. Quella maledetta serpe si sarebbe tradita da sola, e con lei la fine di un incubo.
       Era quasi arrivata allo studio e vedeva già il portone d'ingresso del palazzo in lontananza.   Rapida occhiata intorno. Nessuno.  Rapida sistemata al microfono.  Al registratore. Camicetta. Abbottonata. Mano sulla fronte. Sudore. Asciugato. Si entrava in scena.
       Cedric Darlton aveva lo studio in un vecchio palazzo nel borgo di Redbridge. La facciata era stretta e lunga e le uniche finestre che davano sulla strada appartenevano ad  appartamenti oramai sfitti da tempo, o a studi medici. Sulle etichette del citofono non c'erano scritti molti nomi, e se  mai avessi provato a  cercare 'Darlton' tra quei nomi non avresti trovato un bel niente.
        Ma Alessia sapeva qual'era il campanello giusto. Uno squillo breve, poi subito uno lungo e poi di nuovo uno corto. Niente. Ogni secondo sembrava un'eternità, sentiva il cuore battere come un tamburo dentro il petto. Stava per poggiare nuovamente il dito sul campanello, quando ad un tratto  udì lo scatto del portone. Cedric aveva aperto.
         L'aria all'interno del palazzo era piacevole. Meglio così, un po' di aria fresca le avrebbe fatto bene, e mentre saliva le scale Alessia cominciava a prendere coraggio. Sentiva la vittoria vicina e le si era stampato sul viso un leggero ghigno di soddisfazione. 
         Alessia aveva quasi finito di salire le scale quando notò subito qualcosa di diverso dal solito. La porta dello studio di Cedric oggi era aperta, spalancata. Si vedeva la luce uscire dalla porta e stamparsi sul muro opposto. In quell'attimo vide il film che si era fatto in testa cambiare sceneggiatura. La sua mente iniziava a confondere le idee e mentre stava cercando di darsi una spiegazione,  saliva meccanicamente gli ultimi scalini con lo sguardo fisso sulla porta che man mano si avvicinava, finché una volta giunta davanti lo studio , lo vide.
          Cedric la stava aspettando in piedi al centro della stanza. La sua figura si stagliava imponente tra la finestra e la porta. Il suo viso era contro luce e il corpo le porgeva il fianco destro in una postura piuttosto innaturale.
    -  Buongiorno Alessia! Accomodati pure, ti stavo aspettando. Cosa c'è che non va? Ti trovo un po' pallidina. 
   - Oh, Cedric. Scusa, non mi aspettavo di trovarti qui. Cioè...
   - Ah, e chi ti aspettavi di trovare nel mio studio? Su dai , entra, non fare la sciocchina
   - Sì, scusa hai ragione. E' che oggi sono arrivata di corsa e sono un po' accaldata. Fuori fa caldo e... uff ... mamma mia che sudata. Tu ? come stai?
   - Bene , bene... Vieni, accomodati cara. Appoggia pure la borsa sull'appendiabiti.

      Alessia sentiva che qualcosa stava andando storto. Ma non capiva cosa. Dove aveva sbagliato? Sì è vero, era nervosa e si vedeva. E lui; perché l'aveva aspettata in piedi? Perché non era seduto a quella sua stramaledetta scrivania, perché non scriveva con quella sua stramaledetta china su quei dannatissimi fogli.

      I pensieri si facevano sempre più numerosi dentro la mente di Alessia, quando ad un tratto sentì come una forte puntura dietro la testa. Sentì i muscoli delle gambe cedere, e franò per terra senza forze. Mentre l'immagine di lui diventava più sfocata e la stanza cominciava a girare vide Cedric fissarla in piedi con qualcosa in mano.
       Cedric l'aveva colpita con l'attizzatoio del camino, dietro la nuca, proprio mentre lei si era girata di spalle per appendere la borsa all'appendiabiti.      
-Lo teneva nella mano sinistra quella serpe, pensò, prima di perdere completamente i sensi. 
E poi nulla più. Solo il buio.

  

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